domenica 26 ottobre 2008

Aldo Grasso, Donne Assassine e il ruolo della critica

Seguito il consiglio del blogger In Trincea siamo andati a vederci la video critica di Aldo Grasso a Donne Assassine, serie in onda da un paio settimane su FOX Crime. Guardatevi anche voi l'intervento di Grasso cliccando QUI perché il critico fa affermazioni che ci riguardano tutti da vicino. A riguardo segnaliamo anche un post di risposta proveniente dal blog di Barbara Petronio e Leonardo Valenti, curatori dell'adattamento italiano della serie. Basta cliccare QUI per leggerlo. Crediamo che la risposta dei due sceneggiatori sia esaustiva e apre una questione importante. Ci sarebbe da discutere a lungo, infatti, sulla competenza e il ruolo della critica televisiva italiana. E proprio per questo lasciamo a voi la parola. Cosa ne pensate?

21 commenti:

Anonimo ha detto...

Inviterei a questo punto Aldo Grasso al prossimo incontro SACT per raccontargli come funziona il sistema produttivo in Italia.
Nel merito di Donne assassine, poi, dovrebbe prendersela con gli sceneggiatori argentini. O no?
Ah già, ma lui non lo sapeva che era una serie argentina.

Anonimo ha detto...

Ho letto ciò che scrivono Barbara e Leonardo. Condivido la loro irritazione per la genericità delle informazioni e la banalità delle affermazioni di Grasso, e cioè che non solo gli sceneggiatori italiani - si sa -fanno sempre pena, ma che in più si esercitano sulle miniserie e sulle biografie. Per questo l'ho segnalato. Grasso non ha neanche letto il nome degli sceneggiatori, noti a tutti soprattutto per la lunga serialità di successo che hanno firmato...E invece Sky ha smesso improvvisamente di produrre serie e cerca solo miniserie. Che cosa sa Grasso di tutto questo? Ha diritto a non gradire, ma come mai assimila - per disprezzarla -una serie gialla a una miniserie? Va bene che la dietrologia è inutile, però mi colpisce la coincidenza. E l'attacco pieno di disprezzo al "dazio" italiano da pagare che toglie spazio alle meravigliose (occhi al cielo!) serie americane: oggi gli toccava parlar male del satellite e di Fox?

Anonimo ha detto...

che scivolata dottor grasso... capisco che con quel cognome non si riesca a rimanere in equilibrio con facilità, però proprio lei... il più insigne critico nazionale di televisione! Guardi... che lei dica che si dovrebbero trasmettere solo serie americane è come se un medico auspicasse la morte di un paziente senza aver capito le cause della malattia! Un fallimento totale della sua professionalità. E sì, perchè se la fiction italiana sta messa male, la critica non sta messa meglio visto che non è in grado di proporre una cura. Lei è impreparato dottor Grasso... chiuso nella sua torre fatta di certezze ma non di conoscenza. Esca fuori e studi il sistema produttivo americano... lo proponga dall'alto del suo potere mediatico e chissà... se forse per una volta non riesca a fare una critica costruttiva anziché compiaciuta e imprecisa come quella che ha fatto su donne assassine! Viva il mercato libero, viva la libertà di parola, anche quella di dirle: ma che cialtronate va dicendo!!!???

Pietro Papisca ha detto...

Ottima la proposta di PongoSbronzo.

Invitare alla SACT Aldo Grasso e metterlo al corrente di chi è lo sceneggiatore italiano e quali problemi deve affrontare: la mancanza di controllo sull'opera; i numerosi interlocutori ai quali deve tenere testa; i giudizi insindacabili di chi si palesa dall'alto e non ha mai partecipato ad una riunione ecc.

Sarebbe anche utile avere uno sceneggiatore fisso della sact a TV talk su RAI3.
Credo l'iniziativa rientri negli scopi che si è prefisso questo direttivo.

Anonimo ha detto...

però scusate, non diventiamo come i 100 autori che difendono la categoria a prescindere.

Donne assassine ha problemi di sceneggiatura. inutile prendersela con un critico. Che poi la colpa non è imputabile solo agli sceneggiatori sono d'accordo, ma insomma si poteva fare qualcosa di più. e lo dico non per fare polemica, ma solo perchè detesto il piangersi addosso.

Nell'episodio di Infascelli per esempio, la Ceccarelli non fa altro che chiedere alla Pandolfi i documenti per dimostrarle di non essere l'amante del marito.
La Pandolfi, vuoi perchè spaventata, vuoi perchè ancora in elaborazione di un lutto, non glieli mostra.

Ecco questo non regge. è debole. Capisco che se glieli avesse mostrati alla prima scena, la puntata sarebbe finita lì... ma insomma. quello che è il motore di tutta la vicenda è un po' buttato lì.

impariamo ad accettare le critiche anche quando non vengono da editor di rete e produttori esecutivi.

a presto.
w la sact!

Anonimo ha detto...

@ anonimo
Sul loro sito Barbara e Leonardo spiegano di aver fatto delle scelte nell'adattare la serie argentina per l'Italia. Scelte ragionate. Il risultato, per quello che abbiamo visto finora, è una narrazione lineare (eredità argentina, sembra). Lo spettatore non è invitato a interrogarsi su come andrà a finire, perché - come si dice in gergo - il finale è stato ampiamente telefonato. Gli si propongono altri percorsi, però. Per esempio la rappresentazione di un'umanità più intima, più spaesata rispetto alla propria vita di quanto si crede. Un'emozione più simile alla lettura quotidiana del giornale quando scopri che le tragedie sono una sequela di atti inconsapevoli. Più simile al nostro stesso quotidiano quando non ci capiamo tra noi e ci disperiamo. Così, @ anonimo, ti posso dire che anch'io ho sussultato in alcuni punti.Ma poi ho pensato: non è che abbiamo introiettato un sistema "unico" di racconto e non riusciamo più a seguirne degli altri? Che siamo diventati troppo bravi ad usare in fretta matita blu e rossa nell'adeguare le sceneggiature alle richieste standard del network? Barbara e Leonardo hanno scritto Distretto, Ris, Romanzo criminale. Pensi che siano così a digiuno di tecniche di suspance? Si sono bevuti il cervello o hanno voluto fare altro? Avrebbe potuto chiederselo anche Grasso, no?

Anonimo ha detto...

Vorrei puntualizzare. Stavo facendo dell'ironia. Figurati se voglio invitare Aldo Grasso alla SACT.

Non credo che gli interessi quello che gli sceneggiatori hanno da dire.

Anonimo ha detto...

Non volevo mica attaccare barbara e leonardo. mi stanno anche simpatici e poi non ho messo in discussione la loro professionalità. Mi sembrava solo che in quel passaggio la storia non reggesse.
tutto qui.

cari fanciulli, non c'è mica da essere permalosi.

peace & love e autoironia.

Anonimo ha detto...

Capisco la levata di scudi e la botta di orgoglio professionale. Capisco anche la risposta un po’ seccata di Petronio & Valentini. Però ragioniamo con calma. In questo vivace blog (che sostituisce il deprimente ‘muro del pianto’ sactiano) dobbiamo cercare di essere lucidi, e onesti con noi stessi. La recensione di Grasso è sicuramente poco ficcante; anche i critici hanno i loro momenti di stanca e si aggrappano ai luoghi comuni: la storia è scontata; la fiction americana è meglio etc. Ma a parte questo, non capisco perché scandalizzarsi tanto. E' risaputo che i crtiici non sanno una beneamata mazza. Comunque non mi pare che Grasso “inciti” la Fox a non produrre serie italiane: si limita a esprimere il proprio dissenso sulle quote produttive imposte per legge; anche se poi aggiunge: ‘ben vengano le quote, se sono un’occasione per percorrere nuove strade’. Ok, “Donne assasine” non gli è piaciuto. E se la prende con gli sceneggiatori, che servono appunto ad essere tirati in ballo quando le cose vanno male. Ma uno sceneggiatore sano e consapevole della qualità del proprio lavoro dovrebbe essere in grado di fregarsene della critica in generale e di Grasso in particolare. Quanto alla reazione della categoria (gli autori della serie ma più in generale i commenti al post) l’ho trovata un po’ mortificante: dare la colpa al “sistema produttivo italiano” (“che influisce sulla qualità delle sceneggiature”) o sottolineare che è l’adattemento di una serie argentina rischia di suonare come uno scaricabarile, un’indiretta ammissione che si è lavorato con poca convinzione (si suppone che l’adattamento di una serie sia l’occasione anche per migliorarla e non per accettarla in blocco, difetti compresi, o no?). Dovremmo cercare di essere un po’ più orgogliosi e al tempo stesso meno suscettibili.

Anonimo ha detto...

Pienamente d'accordo!

Anonimo ha detto...

"However good or bad they are as critics, they're also writers and they also go to the movies, and so I have more in common with them than I do with some people who don't understand writing, don't go to movies..."

D. Cronenberg


Che classe 'sto canadese...

Leonardo Valenti ha detto...

@Anonimi: Non c'è nessuno scarica barile, anzi abbiamo spiegato cosa è, per noi, un adattamento anche sul nostro sito (non sul blog, nella sezione "on writing").
Non siamo d'accordo quando dite che adattare vuol dire migliorare. Presuppone un atteggiamento di spocchia nei confronti di altri colleghi.
Se un prodotto è andato bene ed è stato acquistato si presuppone che ci siano dei punti di forza che non possono essere ignorati.
Se Donne Assassine non ci avesse convinti non lo avremmo mai fatto.
Il prodotto ci è piaciuto proprio per come è.
Anzi, in diversi casi in cui si sono toccati i prodotti da adattare si sono fatti dei disastri.
Poi è lecito muovere tutte le critiche del caso.
Ci sta tutto che chi guarda la serie può dire la sua e formarsi una propria opinione.
A maggior ragione, se chi guarda è uno sceneggiatore, è condivisibile che guardi con occhio critico la scrittura e faccia notare quelli che, per lui, sono dei punti deboli. Quindi non prendiamo le osservazioni dei colleghi come attacchi, ci mancherebbe!
Non ci sta invece che un critico del calibro di Grasso non approfondisca la materia di cui parla. Ma perché tirare in ballo l'agiografia e la biografia?
Ecco quello ci ha irritato. Perché vuol dire superficialità. Ed è per quello che abbiamo precisato che Donne Assassine è un adattamento, non perché scarichiamo barile.
Come ci ha irritati l'incipt del suo intervento.
Aggiungiamo che se si fosse limitato a dire "Donne Assassine è scritto male" probabilmente non avremmo postato nessuna risposta.
Ma l'accumulo di inesattezze e facilonerie ci ha indotti a rispondere.

Sulla questione quote di produzione ci sono due discorsi che vanno fatti. Il primo è che abbiamo letto un sottotesto nelle parole di Grasso: "visto che gli sceneggiatori italiani sono incapaci è praticamente impossibile innovare, quindi meglio le serie americane".
Magari ci sbagliamo, ma noi l'abbiamo letta così. Abbiamo calato le braghe troppe volte noi sceneggiatori. E ci sono casi in cui parlare (o scrivere) è meglio di un silenzio mesto e meditabondo.
Seconda considerazione riguarda il contenuto stesso dell'affermazione di Grasso. Da quanto ci risulta non c'era nessun obbligo di produrre Donne Assassine. Se si è fatto, è perché ci si è creduto...

Anonimo ha detto...

premetto che parlo in generale perchè non ho visto il prodotto, ma prendo spunto per un paio di considerazioni allargate.
oncordo con chi dice che qua tira una brezzolina corporativista. Sostenere che provare a migliorare ciò che ha dimostrato di funzionare altrove è un ottimo esempio di buon argomento usato un po' meno bene.dire che è provarci è 'spocchia nei confronti dei colleghi" , poi è surrettizio. non esisterebbe ugly betty, per esempio. anche se tra gli sceneggiatori c'è più di un snob antiamericano abbarbicato alla nicchia che è capace dirti che il colombiano era mooooooolto più bello. Poi è chiaro che io empatizzo alla grande con lo sceneggiatore tipo, stremato da questa italica giungla che si trova davanti per una volta a uno scenario arcadico: un buon format di successo e un network illuminato. sono condizioni in cui ,una volta che hai finito di fregarti le mani e di pizzicarti per vedere se sei sveglio, beh, stai col cinque.Non sei mica scemo, non tiri carta sperando che ti venga il due o la matta, nossignore. col rischio poi che se le cose vanno male se la prendano pure con te.'Nz.
tutto questo è molto umano e comprensibile. Ma dovrebbe portare con sè la consapevolezza che in questo modo, di rado nascono cose memorabili. Oneste o riuscite, magari, ma memorabili, no. e se un critico te lo dice , al di là delle toppe che prende, e del trombonismo da cui è afflitto, ci stai.

Anonimo ha detto...

Rilancio sulla brezzolina corporativista, che magari potrebbe essere chiamata coscienza sindacale. A me, in questa fase storica in cui lo sceneggiatore ha obiettivamente meno potere di venti anni fa, ma è continuamente attaccato come se la colpa di ciò che si vede in giro sia soprattutto sua, pare che - al contrario - serva una brezza forte. Credo che noi siamo i peggiori estimatori di noi stessi, che non ci piaccia niente di quello che vediamo e magari che abbiamo pure ragione, però... riprendiamoci la scrittura e il diritto a farla e a parlarne noi e poi accettiamo tutte le critiche. Prodotti onesti e riusciti mi sembra già un obiettivo sufficiente (i geni sono sempre rari), perché tutti i giorni ci chiedono la disonestà invece. E il bello è che questa disonestà ce la chiede gente che - come Grasso e come noi - preferisce le serie americane, che passa la notte a scaricarsi altro da quello che va in onda qui e il giorno a sussurrare perfidie sui risultati auditel dei colleghi, che quando parliamo di soggetti chiede idee mirabolanti, e quando portiamo sceneggiature ci chiede di abbassare il tiro e di allinearci a un pensiero semplice (ps, tutte le dittature sono pensieri molto semplici!) di cui anche loro sono disgustati, ma... che devi fare, questa è la televisione, questa è l'Italia. Non si può imporre dei semafori e poi essere innamorati di chi passa col rosso, no? Io voglio la brezza, voglio aprire un credito per gli sceneggiatori, voglio che si allenti la briglia e che sia consentito - come ha chiesto Sorrentino per i registi - il diritto di sbagliare, di misurarsi, di crescere. Voglio scoprire se anche quell'Italia che dicono loro preferisce invece chi passa col rosso, come ci urlano da tutti i blog che parlano di televisione. Perché non cominciamo noi ad aprire un credito a noi stessi? Pecioni, pasticcioni, forse anche un po' vigliacchi, potremmo essere capaci almeno di diventare categoria. Questo passo dobbiamo fare e dobbiamo farlo adesso, perché domani - a crisi fiction finita - il passo avanti potrebbe averlo fatto qualcun altro. Quindi, va bene, sì, facciamo errori, ma è normale: quando si scende in piazza, capita che ci si urti. Così, nel difendere la categoria, capita che difendiamo degli incompetenti. Non importa, siamo in piazza, è una fase, un momento. Non credo che sia il momento della puzza sotto il naso, per intenderci.

Anonimo ha detto...

sottoscrivo in pieno l'appello alla mobilitazione , ma essere coscienti dei propri limiti è il punto di partenza per qualsiasi azione unitaria.Solo allora uno trova la forza per dire ok, noi saremo pure scarsucci e rassegnati , ma voi siete incompetenti e in malafede. chi sta peggio?
Invece, finchè da qualche parte nel proprio cervello uno è convinto di essere quello bravo in mezzo alle mezze calzette, e che se non l' ha ancora dimostrato all'universo mondo è perchè là fuori sono tutti brutti e cattivi e con delle enormi forbicione , io non penso che si sentirà mai "categoria". Ci si sentirà quando le cose gli vanno male, per ottenere una fuggevole sensazione di conforto, ma appena rientra in carreggiata le questioni sindacali diventeranno più rarefatte, fino a svanire.
Non potrei essere più d'accordo , sul diritto a sbagliare, ma è un diritto che si conquista azzardando, dimostrandosi disposti a rischiare davvero (pochi sanno infatti che un giovane Sorrentino sceneggiatore fu fatto fuori da una serie televisiva, perchè troppo "autoriale e intemperante ") .Sicuramente non si ottiene covando le proprie certezze e poi difendendo a posteriori i risultati di scelte 'ragionevoli'...Ripeto allo sfinimento : non è reato tenere famiglia, e in certe circostanze diventa davvero l'unica opzione, ma poi non bisogna risentirsi se qualcuno ti fa notare che quando si lavora per la pagnotta, poi si vede.

Anonimo ha detto...

@anonimo
Ok, per la parte del cervello=sono bravo, soprattutto perché non si sbaglia (e si vede!) solo per la pagnotta, ma anche per la supponenza autoriale che ti può mandare ugualmente faccia a terra. L'arte non mi preoccupa: emerge per conto suo. Quindi riprendo il tuo slogan: onestà e risultato. Cioè un sistema produttivo che non penalizzi lo scrittore e gli consenta un controllo sul prodotto. Poi, sparateci pure addosso, ma prima... zitti.

Anonimo ha detto...

grande Trincea, sono una tua groupie!

ventisette ha detto...

sottoscrivo il fan club per "intrincea" e vi invito a leggere la critica di Grasso, oggi sul Corriere ad Einstein nella quale, forse per la prima volta o quasi, spara a zero non solo sugli sceneggiatori ma anche sulla regista e il sistema in generale.(Non ho la più pallida idea di come si faccia a linkarlo, perdonatemi!) Lungi da me "difendere" Grasso (le cui recensioni sono per lo più, a mio parere, di una cattiveria senza raffinatezza e poco intelligenti), ma una cosa devo riconoscere alla categoria dei critici come al pubblico in generale: quello che sta dietro le quinte non può influenzare il giudizio sul risultato finale. Quando vado al cinema o a teatro, sapere quali e quanti problemi organizzativi, economici, produttivi hanno dovuto affrontare gli autori, il regista, gli attori m'interessa fino ad un certo punto. Noi siamo tenuti a fare l'impossibile per arrivare ad un prodotto finale che ci soddisfi, ma non possiamo chiedere a chi ci guarda di condividere le nostre difficoltà.

Anonimo ha detto...

http://www.corriere.it/spettacoli/29_ottobre_08/fiction_albert_einstein_04fc95fc-a588-11dd-8fd0-00144f02aabc.shtml

Purtroppo ci tocca porgere l'altra guancia...

Anonimo ha detto...

1)Di Grasso basterebbe ricordare, all'ultimo fictionfest, l'inizio della sua presentazione al dibattito in cui erano presenti Confalonieri e Pretruccioli. Disse qualcosa tipo "in una stagione dove la qualità della fiction italiana ha raggiunto dei livelli altissimi...". Per chi lavora? per la Rai e Mediaset o per il Corriere della Sera? Certamente non per la verità...
2) Grasso si scaglia contro gli sceneggiatori ma... quando il prodotto è buono,secondo lui ovviamente, li apprezza o neanche li nomina?

Credo che l'idea di invitare Grasso sia giusta ma con una lettera aperta della Sact da spedire al Corriere. Vediamo se la intanto se la pubblicano.

Anonimo ha detto...

DONNE ASSASSINE e Aldo Grasso...
Ho ascoltato l'intervista di Grasso sul sito del Corriere. Grasso, in un passaggio, dichiara che "purtroppo" le reti satellitari italiane, devono produrre, per legge, seriali italiani... "Peccato", dichiara, che non possano andare in onda solo serie americane! Poi aggiunge che i seriali nostrani sono troppo prevedibili... e se la prende , guarda caso, con gli sceneggiatori e, nel caso di donne assassine dove "salva" sia la regia che l'interpretazione, spara a zero sulla sceneggiatura, prevedibile come nei seriali RAI - MEDIASET. Io credo che Grasso non abbia tutti i torti, solo che, probabilmente, come molti suoi colleghi, non abbia mai avuto a che fare con un produttore o direttore di rete, o peggio ancora, con un presidente di una nota produzione di RAIUNO, che legge e annota personalmente tutte le sceneggiature affinchè risultino clericalmente accettate dal pubblico clericale di RAIUNO... Grasso dovrebbe scrivere su questo genere di interventi postumi alle sceneggiature, per esempio, potrebbe scrivere sulla finta libertà di scrittura a cui sono sottoposti gli sceneggiatori, gli editors e gli head-writer! "LAMERICA" dei seriali sarà scritta, diretta e interpretrata in maniera eccellente, ma cerchiamo anche di comprendere la politica televisiva delle nostre parti, almeno senza sparare a zero senza conoscere i passaggi di una storia, dala testa alla messa in onda. MEDITIAMO Grasso!