lunedì 6 ottobre 2008

Produttore o mio produttore...

Nei commenti è uscito fuori un argomento interessante: qual'è la funzione reale del produttore nel sistema televisivo italiano? L'argomento si fa ancora più interessante se visto alla luce dei dibattiti che ci sono stati sia al Telefilm Festival che al Roma Fiction Fest di quest'anno. In entrambe le occasioni, i produttori si sono lamentati di non avere alcun diritto sul prodotto finito, perché il network li acquisisce tutti divenendone l'unico proprietario. La risposta che è arrivata, semplice ed affilata, è stata: se non rischi nulla, non hai diritto a nulla. Se è il network a finanziare il 100 per 100 del prodotto dallo sviluppo alla realizzazione, il network pretende di avere tutti i diritti. Come biasimarli? Viviamo in un sistema televisivo in cui il produttore passa i soldi che gli dà il network trattenendone una parte... ma per cosa? Gli editor di rete indirizzano il lavoro di scrittura, vanno sul set, al montaggio. Lo sceneggiatore, senza un supporto, è lasciato in completa balia dell'invadenza del network. C'è qualcuno che tenta addirittura di infilare sui contratti degli sceneggiatori un intollerabile "pagamento ad approvazione del network"! E il produttore si becca comunque il suo producer's fee che forse a questo punto dovremmo tornare a chiamare col suo vero nome: cresta! Allora, chiediamo provocatoriamente: i produttori in tv sono davvero necessari? Non basterebbero dei semplici organizzatori generali? Quanto risparmierebbe il network in termini di budget?

16 commenti:

Anonimo ha detto...

Adesso come adesso certamente il produttore "non serve a niente". Peccato perché dovrebbe essere una figua essenziale come lo era nel mondo che fu.

Forse se produttori, ormai semplici organizzatori generali (sono d'accordo), e sceneggiatori, semplici esecutori di paure ed ignoranze altrui, si unissero?
Ma il monopolio dei BIG che si dividono la torta o addirittura ne fanno parte, vedi Valsecchi/Tao, che gliene importa?

Anonimo ha detto...

"qual'è" il male degli sceneggiatori e di chi li rappresenta?

forse che non sanno neanche che qual è si scrive in un modo e non nell'altro?

SACT ha detto...

O forse si può scrivere "qual è" ma (veltronianamente) anche "qual'è"

basta guardare QUI

Come si legge nell'articolo, la versione con apostrofo da alcuni è addirittura preferita...

fede ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
etmenanki ha detto...

"Qual" esiste per sé, non come elisione o troncamento di "quale". Questo è un errore classico che ho fatto anch'io per lungo tempo, sostenendo la necessità dell'apostrofo. Poi mi sono andato a guardare il vocabolario e ho scoperto la magagna. Quindi l'apostrofo non ci va, il link a cui rimanda il post precedente non è corretto dal punto di vista grammaticale.

Detto questo, dare degli ignoranti agli sceneggiatori solo per un apostrofo (che tra l'altro vien spesso automatico quando si scrive rapidamente, quante volte mettete l'alpostrofo a "un" articolo maschile per poi toglierlo subito dopo visto che Word lo segnala giustamente come errore?) mi pare eccessivo.

etmenanki ha detto...

E poi (scusate ma mi son fatto prendere la mano)
Il post iniziale mi pareva interessante, perché perdere tempo a divagare quando si sta parlando di una questione fondamentale?

Gli autori italiani (parlo per la TV) non hanno alcuna libertà, non c'è mercato e bene o male le reti chiedono più o meno sempre le stesse cose, smussano gli angoli (presunti) non azzardano temendo l'auditel e tutto il resto che sapete. La figura del produttore dovrebbe essere quella che - rischiando di suo - caccia i soldi per fare puntate pilota, per sviluppare progetti, insomma, dovrebbe produrre rischiando di sentirsi dire: spiacente, questo progetto non fa parte della linea editoriale o altre amenità simili. Perché i produttori non rischiano? Perché non c'è mercato. In Italia produciamo solo fiction di prima serata (che quindi devono rispettare certe regole pena il bollino rosso) solo per le due ammiraglie o quasi. Se io arrivo da chiunque e gli propongo una serie di fantascienza mi ride in faccia perché la fantascienza in italia non tira. Io perdo tempo a spiegargli che da "A come Andromeda" a "Spazio 1999" (coprodotto dalla RAI dopo il successo di UFo base Luna) qualcosina l'abbiamo pur fatta. Lui replica che poi le reti non glielo comprano: perché dovrebbe darmi dei soldi a fondo perduto? Una qualche ragione ce l'ha pure, sinceramente. Ora, la questione é: come si risolve il problema? Io non lo so, l'unica possibilità che abbiamo noi - credo - è quella di continuare a proporre cose nostre, sperare che qualche mente illuminata le legga e insistere. L'alternativa è andare direttamente al network, convincere qualche responsabile che il nostro progetto è una bomba e con lui andare dal produttore per ottenere un contratto. MA la domanda è: quanti sceneggiatori conoscono un responsabile nei network? Bravi, risposta esatta.
Quindi ci vorrebbe una struttura, un'associazione, qualcuno in grado di presentare progetti alle alte sfere e di essere ascoltata. Insomma, se la SACT ci aiuta a scavalcare i produttori nella prima fase (quella del "c'ho 'n idea") magari qualcosa si comincia a muovere. Magari uno degli sceneggiatori vende il suo progetto,c he poi va bene e si accorgono tutti che senza idee l'audiovisivo non si fa...

Vabbé, vi ho tediato abbastanza. Concludo dicendo che comunque prima di lamentarci dell'ignavia altrui sarebbe bene pensare alla rassegnazione nostra (mi includo tra i rassegnati, ovviamente).

SACT ha detto...

Archiviate le discussioni grammaticali, rispondiamo ad "etmenanki" e al primo "anonimo". Era proprio qui che speravamo di portare la discussione.
Posto che lo scoglio più difficile è far riconoscere la centralità della scrittura, ci sono due posizioni diverse nei vostri commenti che rappresentano due possibili soluzioni al problema:

a) i produttori si alleano allo sceneggiatore cercando in qualche modo di tornare ad avere una "ragione d'essere"

b) il network scavalca i produttori, sviluppa con gli scrittori il prodotto e si avvale di organizzatori a cui fissa da subito un fee

E se esistesse una terza via?

Anonimo ha detto...

Credo che quel producer's fee crei ancora dei margini di libertà che andrebbero persi con il passaggio agli organizzatori generali. Intendo margini di libertà creativa. Avete mai fatto il conto delle teste degli editor di rete grandi e piccoli che danno la linea alla fiction? Li conosciamo tutti, sono ovviamente sempre gli stessi, il numero è basso. Se si passasse agli organizzatori generali, le idee che vedremmo sullo schermo sarebbero solo le loro e - anche se mirabili - sarebbero comunque poche. Il controllo verrebbe esercitato in modo ancora più diretto, senza filtri, su scrittori e registi. Non dite che è già così, non è vero. Quel producer's fee crea comunque passaggi in più in cui la volontà che tende a diventare dittatoriale dei network, si indebolisce. Anche gli editors sono persone umane e si stancano a litigare. Anche gli editors sentono il peso delle responsabilità e la presenza di un produttore (che spinge per qualsiasi motivo, almeno un po', da un'altra parte) li alleggerisce. Spesso molto del buono che vediamo sullo schermo deriva da questo infilarsi negli spazi creati dalla stanchezza e dalla confusione. I produttori sono dei parassiti? Non tutti, non sempre e non del tutto. E forse si stuferanno di essere dei vigliacchi e di essere trattati da passacarte. Il punto è che le carte siamo noi. Sì, è triste. Infatti ho scritto "margini" di libertà e non "spazi". Ma se non ci fossero neanche quelli?

SACT ha detto...

Condivisibile intervento di "in trincea". Forse un pelino protezionista.
Ma se gli scrittori prendessero coscienza del ruolo delle proprie idee e facessero loro da produttori delle proprie creature?
Immaginate se il budget della scrittura di una serie fosse dato in gestione ad uno o più scrittori, con il ruolo di gestirla e supervisionarla. E con il potere di avere un ruolo decisivo anche nelle fasi successive (cast, regia, montaggio). Il tutto senza eliminare gli editor ma in una sana dialettica delle parti.
Perché gli sceneggiatori devono sempre appoggiarsi sulle spalle di un altro quando possono difendere le proprie idee da soli?

Anonimo ha detto...

Ehi, un momento, fatemi capire. Per gestire del denaro ci vuole una società, per gestire una società ci vogliono competenze manageriali. Cast, regia, montaggio vogliono dire (oltre al fatto di realizzare un'idea scritta) soldi, contratti, studi, uffici, conti in banca ecc. Proponete che gruppi di sceneggiatori diventino società di produzione o di organizzazione generale autogestite?

etmenanki ha detto...

L'ultimo post di sact va nella direzione che intendevo io. Chi ha detto che non ci sia alcuna possibilità di parlare direttamente al network, o a chi per esso, proponendo un progetto? Nel senso, ma non potrebbe essere che la direzione da prendere sia quella di farsi difensori delle proprie idee in prima persona? Ovvio che questo comporta anche dei rischi in prima persona: se adesso un mio progetto va male posso sempre prendermela con il produttore, l'editor di rete, tutta la filiera che mi filtra. E così non rischio niente (sulla questione che a pagare siano sempre e solo gli scrittori io ho i miei dubbi, ho la brutta sensazione che visto come è strutturata la fiction in Italia, anzi visto come è strutturata l'Italia tout court, qua nessuno si prende delle responsabilità e alla fine nessuno paga il conto). Ho divagato, al solito...

Dicevo. Penso che avere uno strumento - leggi, associazione o simili - che mi consente di portare alle reti un progetto, mi (singolare majestatis) permetterebbe di saltare quello che a tutt'oggi si rivela un filtro invalicabile essenzialmente per due motivi opposti:
1. Produttori che decidono loro che cosa produrre, come scriverlo etc etc;
2. Produttori meno potenti fanno quello che facciamo incosciamente anche noi, cioé cercano di compiacere la committenza, provano a pensare come penserebbe chi gli dovrebbe/potrebbe commissionare il lavoro.
E così non se ne esce.

Se invece un gruppo di sceneggiatori con un'idea forte può presentare quella idea al network, fare un pitch, avere una risposta nei classici 12,5 minuti totali (0,5+2+10/15) sono convinto che i network si ritroverebbero sommersi di idee, gli sceneggiatori si rimetterebbero a pensare in pubblico e non al chiuso delle loro case/uffici, i produttori si darebbero una svegliata (perché mi faccio anticipare dal network quando gli sceneggiatori sono tanti e bravi?) e si avvierebbe un circuito virtuoso.
Tutto questo, per rispondere a "in trincea", senza che agli autori si richieda altro che il loro lavoro, cioé produrre idee. E magari, come succede in altre parti del mondo, dargli anche la possibilità di avere un'opinione sul dopo sceneggiatura, perché se io penso una cosa con un certo tipo di attori (diciamo De Niro e Pacino, bravi e anziani) e poi il film lo fanno fare a Pitt e Clooney magari viene bene lo stesso, ma potrebbe anche essere che protagonisti 30 anni più giovani, per quanto bravi, non funzionino. Insomma, la domanda è: ma perché alla fine di ogni serie US il primo cartello è EXECUTIVE PRODUCER e poi il nome del creatore della serie? Visti i loro risultati, mediamente mi pare che sappiano quello che fanno.

Ovvio, io sono un inguaribile ottimista.

Anonimo ha detto...

"sono convinto che i network si ritroverebbero sommersi di idee"
Sì, ma quante ne realizzerebbero, di queste meravigliose idee di altrettanto meravigliosi sconosciuti? Perché poi il punto si riduce sempre a quello. E scusate, sono andata fuori tema.

SACT ha detto...

No, hhllyh, non sei andata fuori tema. In fin dei conti stiamo parlando di mercato.
L'ipotesi di etmenanki è interessante. Modificare l'attuale sistema di selezione delle idee cambierebbe di sicuro le regole del mercato.
Questo potrebbe garantire un accesso migliore anche alle nuove leve.
Ma qui non vogliamo essere utopistici. Il nostro è un ambito lavorativo difficile da penetrare e questo anche in altri paesi.
Anche in America è più facile che producano una serie pitchata da un professionista che da un emerito sconosciuto.
Però l'autonomia gestionale degli scrittori permette l'accesso anche agli emergenti. E le vie di accesso sono le più disparate.
In un recente numero di Creative Screenwriting alcuni sceneggiatori parlavano di come da semplici runners di produzione sono riusciti a far leggere i propri spec scripts ai capi scrittura.
Niente più "schiavi di bottega" ma un accesso semplice e diretto: "Scrivi bene? Ok, lavori."
E' ovvio che questo sistema può prendere piede solo se gli scrittori hanno completa autonomia e potere decisionale, senza ingerenze esterne del network o della produzione.
Ma a quest'ultimo punto e agli scrittori emergenti dedicheremo un post apposito.

Anonimo ha detto...

Cari colleghi,
la strada è sbagliata. Non si fanno buoni lavori senza produttori, ma con i produttori. Il rapporto diretto con le reti è una falsa libertà: significa diventare dipendenti. La soluzione (molto americana, visto che l'america ci piace tanto) è portare il processo produttivo e di scrittura FUORI dalle reti, non consegnarci a loro per la solita vanità. In questo modo si crea varietà di idee e di possibilità di lavoro.

SACT ha detto...

La strada, "anonimo", è ottenere dal network (o forse estorcere, anche con la forza) quella fiducia che non ci viene concessa.
Perché alla fine sta tutto qui il problema: il network non si fida di noi.
Se questo debba avvenire con o senza i produttori è solo una questione di opportunità e rapporti di forza.
Ristabilito il giusto e sano rapporto tra committente (network) ed autore non ci sarebbe dipendenza né per noi né per i produttori.
Forse la soluzione sta proprio qui, far capire ai produttori che un autore libero può significare meno burocrazia e maggiore linearità.

Unknown ha detto...

con buona pace dei colleghi, i penso che il produttore (altresì detto IL MANICO) debba restare una figura centrale.
perchè la più bella sceneggiatura del mondo, da sola , non è rilevante.tutti noi possiamo citare prodotti non particolarmente originali in scrittura che debbono la loro fortuna a un ottimo cast e casi opposti di buone potenzialità in scrittura devastate da produzioni inesistenti o pilotate.
il successo di un prodotto è una sinfonia, e un 'orchestra , senza direttore, va a vento. Anche se dentro ci sono i geni musicali .E' l'orgoglio del produttore come capocuoco, che si è smarrito e si è smarrito perchè anche loro sono in manette, strangolati dall'assenza di mercato,costretti a compiacere pur di vendere . due (2) clienti sono tutto quel che hanno e che abbiamo. è questo è il problema , ed è - mi pare - di difficile soluzione. le serie italiane all'estero non si vendono o si vendono in quantità risibili,in posti arretrati. se qualcuno cominciasse a fare i soldi veri, piazzando prodotti competitivi, e dunque scovando un bacino di potenziali clienti, le maglie si allargherebbero. ma questo, probabilmente è un concept di fantafiction . Che non si venderà.