venerdì 18 novembre 2011

LSF - TUTTA LA VITA IL CORSO RAI


Con un sospiro di sollievo, alla chiusura della seconda edizione del London Screenwriter Festival, mi accingo a rientrare in Italia consapevole che questa volta non mi sentirò rimbombare in testa il solito adagio: “All’estero è tutta un altra cosa”.
Il bilancio finale della manifestazione, fatto salvo il pitching finale, è decisamente negativo per alcuni semplici motivi. Pur somigliando a un festival internazionale il LSF è, di fatto, molto british oriented e solo un 30% dei partecipanti era non inglese.
Questo non sarebbe assolutamente un problema se non ne determinasse una chiusura ad un pubblico non squisitamente britannico. Infatti  vi era un continuo sgomitare dei delegati in cerca dello script editor di turno a cui proporre qualcosa invece che un reale e proficuo scambio di vedute che in prima analisi era il motivo per cui avevo deciso di partecipare al festival. Se ci mettiamo poi che gli inglesi diventano socievoli dopo la terza pinta diventava difficile, almeno per noi italiani, la possibilità di portare a casa delle conoscenze utili o semplicemente qualcuno con cui si ha voglia di collaborare in futuro.
Il secondo motivo, che fa da corollario al primo, è che la maggior parte delle conferenze era rivolta a un pubblico di giovani esordienti. Questo rendeva tutto estremamente noioso e già visto, se ci aggiungiamo poi che le “session” riguardavano ancora temi abusati come il viaggio dell’eroe o le teorie di Campbell di cui ormai anche il più sparuto sceneggiatore fa incetta per conto proprio. Insomma, il LSF è apparso più un corso di sceneggiatura per chi si avvicina all’argomento che un perfezionamento della materia.
Il terzo motivo, il più grave, era la totale inesperienza all’insegnamento della maggior parte dei relatori. Probabilmente giovani astri nascenti della BBC incapaci però di esporre concetti con particolare ritmo o presa sul pubblico. A confermare che tra ottimi sceneggiatori e validi insegnanti corre ancora una bella differenza.
La sensazione è che moltiplicare le conferenze non abbia giovato alla qualità. Infatti, i pochi ospiti americani, più scaltri e navigati nel rapporto con il pubblico la facevano da padroni (vedesi conferenza tipo della Pixar). La sensazione è stata talmente condivisa che molti hanno lasciato le conferenze prima del termine. Il culmine è stato raggiunto l’ultimo giorno quando una di queste è stata clamorosamente interrotta, per manifesta noia, dal pubblico, con una rivolta stile Cannes ’68 dopo che il malcapitato relatore ci ha mostrato per un ora intera le slide di un libro di Mackendrick su Aristotele commentandole riga per riga.
Se ci aggiungiamo che il prezzo del festival era piuttosto alto direi che mi tengo tutta la vita il corso RAI.

Tommaso Capolicchio

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